Abiti di Orsogna al museo di Roma: Analisi, critiche e riflessioni

Abiti di Orsogna al museo di Roma: Analisi, critiche e riflessioni

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Innanzitutto un sentito ringraziamento va al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari “Lamberto Loria” nella persona del Dott. Guarrera, la cui disponibilità e cortesia ci hanno consentito di vivere un’esperienza singolare. Pari ringraziamento va al Prof. Francesco Giovanni Maria Stoppa per l’iniziativa intrapresa e al Sindaco di Orsogna Fabrizio Montepara e a Vittoria Iocco per averla realizzata.
Il 23/11/2017 alcuni componenti del nostro Coro, si sono recati a Roma presso il Museo delle arti e tradizioni popolari per visionare antichi abiti di Orsogna ivi conservati. Sono stati accolti e guidati nella visita, con squisita gentilezza, dal Dott. Guarrera, particolarmente legato all’Abruzzo.
Nell’occasione si è constatato che trattasi di due abiti femminili: uno usato in occasione di festività, l’altro di uso quotidiano. Il primo era costituito da: un paio di scarpe, due calzettoni, una gonna di colore nero, un grembiule, un giacchetto, una camicia, uno strapizzo e un fazzoletto per la testa. Era presente, inoltre, anche un velo bianco del quale è stata subito contestata l’appartenenza al vestito della festa orsognese. Ed infatti, in seguito ad una verifica effettuata dal Dott. Guarrera, si accertò immediatamente che quel velo era inventariato con un codice riconducibile ad un abito della regione Molise e finito per errore nella sezione di Orsogna. Lo stesso funzionario provvedeva immediatamente a ricollocarlo nella sezione riservata al Molise.
L’abito di uso quotidiano era incompleto essendo costituito da una gonna, un grembiule (la mandire), una camicia, uno strapizzo e le chiochie. Mancavano il fasciatore, la mantella (lu fazzulettone) e il fazzoletto (lu fazzole).
Entrambi gli abiti, sia pure incompleti, risultano essere sostanzialmente identici a quelli tuttora in uso dal coro di Orsogna.
Nella giornata del 14/12/2017, su invito del Sindaco, una rappresentanza del Coro è tornata, insieme ad altri, presso il Museo. Nell’occasione il prof. Francesco Maria Stoppa (appassionato studioso delle tradizioni popolari e presidente del comitato tecnico scientifico dei Talami), ha allestito due manichini rappresentativi dei due abiti presenti nel Museo.
Egli ha introdotto il suo intervento asserendo, correttamente, che quegli abiti in effetti non sono propriamente originali perché frutto di una ricostruzione avvenuta tra il 1909 e il 1911 ad opera di uno studioso, di cui al momento purtroppo (e ce ne scusiamo) sfugge il nome, che li donò al Museo. Aggiungeva che la ricostruzione era necessariamente avvenuta con tessuti non originali ma con quelli in uso all’epoca della ricostruzione stessa perché quelli originali, naturalmente, non erano ormai più reperibili.
I capi visionati sono senza dubbio degni di essere ammirati in quanto riproduzioni fedeli. Ma nell’occasione abbiamo dovuto fare subito alcuni rilievi sull’arbitrario allestimento dei manichini come effettuato dal Prof. Stoppa.

Abito della Festa

L’abito, così come allestito per l’occasione, presentava un’incongruente aggiunta per la presenza di un velo bianco sul capo. Ciò perché, come era stato accertato già nell’incontro del 23/11/2017 dallo stesso Dott. Guarrera, quel velo erroneamente si trovava nel reparto assegnato agli abiti di Orsogna in quanto appartenente alla Regione Molise (come risultato dal codice di inventario). Lo stesso Dott. Guarrera aveva provveduto seduta stante a ricollocarlo nel posto suo proprio. Averlo ritrovato ancora una volta forzatamente reinserito nella ricostruzione dell’abito di Orsogna, è stato un indebito travisamento della verità storica. Il velo bianco veniva indossato dalle Spose nel giorno delle nozze, mentre le signorine, recandosi a Messa, indossavano una veletta bianca. Fatta eccezione per questi due casi, le donne sul capo indossavano “Lu fazzole”, un fazzoletto, per lo più di seta o di raso che, a seconda di come veniva sistemato (a la ritonne, appuntato ad una sola estremità, cadente di lato o con entrambe le estremità appuntate) denotava il carattere della donna. Alcune donne maritate, sempre per recarsi in Chiesa, usavano indossare anche una veletta nera.
Alla nostra osservazione critica, il prof. Stoppa ha tentato di giustificare l’indebito inserimento del velo replicando che, in una foto del coro di Orsogna scattata nel 1928 sul ponte di Rialto a Venezia, vi erano alcune coriste che indossavano il velo. Abbiamo chiarito al Prof. Stoppa che, in quella foto, di cui il Coro possiede l’originale, quelle coriste portavano il velo semplicemente perché indossavano il vestito da sposa. E comunque siamo stati invitati al museo per visionare gli abiti di Orsogna così come ivi erano conservati e non per assistere ad arbitrarie aggiunte di capi estranei. In ogni caso, la circostanza non consentiva di generalizzare ciò che era contingente e parziale dato che, in quella foto, il velo lo indossavano solo 4 donne su 40 (FOTO 2).

ABITO DI USO QUOTIDIANO

Nella presentazione il prof. Stoppa evidenziava la incompletezza dell’abito. Non presentava infatti il tipico “fasciatore” color vinaccia. Di questa mancanza ovviamente nessuno ha responsabilità; semplicemente è un capo che non è stato donato al museo. Mancanza alla quale speriamo di poter rimediare. Inoltre mancava “lu fazzulettone” (la tipica mantella che portava anche Giuditta Saraceni, la ragazza orsognese che ha posato per la foto dalla quale ha tratto ispirazione Michetti per la realizzazione del noto quadro) e “lu fazzole”. Mentre la gonna non presentava a tergo la tipica ripresa a doppia coda.
Il prof. Stoppa, per sopperire alla mancanza del “fazzolo” e visto che quello in dotazione dell’abito festivo era rimasto “orfano di cranio” a seguito della sua improvvida sostituzione con il velo, ha pensato bene di rimediare alla carenza usandolo per l’abito quotidiano.
Ciò però rappresentava un’ulteriore incongruenza storico-ambientale. Il fazzoletto di seta apposto sull’abito quotidiano (come quello di cui stiamo parlando), la cui principale caratteristica è la scivolosità, non avrebbe potuto essere utilizzato durante il lavoro in campagna. In questi momenti il tessuto più indicato era quello che consentiva un attrito tale che “lu stare” poggiato in testa non scivolasse. La ragione di tale incongruenza sta nell’aver voluto usare come fazzoletto quello che presso il Museo é inventariato certamente come capo di abbigliamento dell’abito festivo.
Detto questo non possiamo non esprimere il nostro dissenso dal Prof. Stoppa quando, con inappropriato tono polemico, afferma che il Coro non sarebbe in grado di testimoniare la storia di un Paese, ma solo quella del Coro stesso. Non pretendiamo certo di essere i testimoni della storia di Orsogna, come altrettanto, crediamo, non lo pretenda il Prof. Stoppa. Ma possiamo rivendicare con forza e a buon diritto di poter testimoniare, insieme alla storia del coro, quella dell’abito tradizionale orsognese, forte della sua esperienza centenaria. La fondatezza di tale affermazione, guarda caso, viene confermata dallo stesso Prof. Stoppa che, in più occasioni, ha chiesto di incontrare proprio il nostro coro per informarsi direttamente dai suoi componenti sulla ricostruzione degli abiti dei nostri avi. Certo é evidente che quelli attualmente in uso del coro non sono realizzati in tessuti originali del 1700, 1800 e/o 1900 in quanto irreperibili. Ma sono certamente ricostruzioni fedeli all’originale, allo stesso modo come lo sono gli abiti conservati nel Museo di Roma, ispirati proprio agli abiti orsognesi e realizzati, per la medesima irreperibilità, solo con tessuti presenti all’epoca. E’ fuorviante ed antistorico, quindi, pretendere di misurare l’originalità degli abiti con l’originalità dei tessuti come pretende il Prof. Stoppa. Peraltro, i nostri attuali abiti tradizionali sono frutto di una trasmissione ininterrottamente avvenuta di generazione in generazione e alcuni sono risalenti addirittura a fine ‘800. Questo è stato possibile grazie all’amore di questo popolo verso la propria terra e le proprie radici, che ha spinto i nostri concittadini allo studio ed alla ricostruzione minuziosa della nostra storia attraverso le testimonianze dirette di chi quella storia l’ha vissuta e tramandata.
Preme ricordare, peraltro, che il Prof. Stoppa si è già cimentato in improbabili ricostruzioni o meglio libere interpretazioni dell’abito di Orsogna quando, tanto per fare un esempio, sosteneva che le nostre contadine usassero gli zoccoli. Addirittura si é spinto fino ad affermare che la presenza di tali calzature in dotazione dell’abito orsognese, l’aveva rinvenuta proprio a Roma presso il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari. La tesi, immediatamente da noi contestata per le vie brevi, ovviamente é stata definitivamente smentita proprio dalla visita al museo dove comparivano solo le “scarpe” per l’abito festivo e le “chiochie”per l’abito quotidiano.
Né possiamo tralasciare di ricordare la fantasiosa e inattendibile ricostruzione dell’abito di Orsogna presentata a suo tempo ai nostri concittadini ed in un gruppo facebook “Abiti Tradizionali Abruzzesi” che riproponiamo…senza commento…in foto per dar modo a tutti di confrontarla con i reperti visionati a Roma e con la foto dell’attuale abito del coro.
Si badi bene: non solo la dittatura degli antichi tessuti é antistorica, ma anche, evidentemente, l’arbitrarietà delle ricostruzioni.
Francamente avremmo voluto continuare a mantenere un atteggiamento pubblicamente distaccato in merito a queste vicende. Ma quando abbiamo constatato che neppure l’esplicito intervento del Dott. Guarrera (che riaffermava la non appartenenza del velo all’abito di Orsogna) è servito al Prof. Stoppa per convincerlo a rientrare nell’alveo di uno scientifico percorso storico nella ricostruzione dell’abito, nostro malgrado e nonostante l’amicizia che abbiamo verso di Lui, non abbiamo potuto fare a meno di riaffermare la oggettiva verità storica.
Il Prof. Stoppa sostiene che i reperti in dotazione del Museo sono quelli che più si avvicinano agli originali e in quanto tali importante punto di riferimento…allora ci chiediamo qual è la ragione per la quale contesti la nostra fedeltà all’originale quando è lui a discostarsene in maniera così eclatante.
Concludendo possiamo dire che, sebbene nessuno sia esclusivo depositario della verità vera, alla luce della visita al museo, l’abito del Coro di Orsogna è quello che maggiormente è rimasto fedele alla storia ed alla tradizione. E di questo non possiamo che essere fieri.
Fabio Salerno
Sposato con una “figlia del Coro” ma stonato come una campana…fornisce il suo supporto come consulente web marketing del Coro. Per lavoro si è occupato delle attività social del Teatro Comunale di Bologna, del Teatro Comunale di Orsogna e della Festa Internazionale degli Gnomi.
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